Ammetto che sono rimasto colpito come pochi dai titoli dedicati al nuovo studio Apple sull’intelligenza artificiale. Sarà che ormai i whitepaper di Big Tech sembrano più dichiarazioni di guerra che ricerche accademiche, ma questa volta – davanti a "The Illusion of Thinking" – ho sentito la stessa sensazione di quando si scopre che il proprio mago preferito ha un trucco. E non è la prima volta che assistiamo a questo tipo di "disvelamento" nel mondo AI: c’è sempre quell’attimo in cui la realtà supera l’hype e ci troviamo a fare i conti con limiti umanamente (e tecnicamente) fallibili. È lì che inizia la storia di oggi.
Quando la Magia della AI si Rompe: Illusioni, Limiti e la Nuova Sincerità di Apple
Negli ultimi giorni, il mondo della Artificial Intelligence è stato scosso da una notizia che ha fatto il giro delle redazioni tech: Apple ha pubblicato un whitepaper che mette in discussione la vera natura dell’intelligenza artificiale moderna. Il documento, intitolato “The Illusion of Thinking: Understanding the Strengths and Limitations of Reasoning Models via the Lens of Problem Complexity”, ha avuto un impatto enorme, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra il grande pubblico curioso di capire dove stia andando la tecnologia.
Abbiamo letto con attenzione questo studio, firmato anche da Samy Bengio, direttore della ricerca AI di Apple, e non possiamo che confermare: la portata mediatica è stata notevole. Il whitepaper non si limita a una semplice analisi teorica, ma entra nel vivo della questione testando i più avanzati Large Language Model (LLM) e Large Reasoning Model (LRM) oggi disponibili, come GPT-4, Claude 3.7 e Gemini. L’obiettivo? Capire se queste AI siano davvero in grado di ragionare come un essere umano o se, come molti sospettano, siano solo abili imitatrici di pattern linguistici.
Apple Intelligence e la “Illusione del Pensiero”
Apple Intelligence, la nuova suite di strumenti AI presentata dall’azienda, ha scelto la via della trasparenza. Nel whitepaper, Apple ammette apertamente i limiti dei modelli attuali, portando alla luce un concetto chiave: l’illusione del pensiero. In pratica, le AI sembrano ragionare, ma in realtà si limitano a riprodurre schemi appresi, senza una reale comprensione. Come afferma Samy Bengio:
"I modelli di intelligenza artificiale non pensano davvero come gli esseri umani"
Un’affermazione che, a mio avviso, segna un cambio di passo nella comunicazione tech, sempre più affamata di autenticità e sincerità.
Esperimenti su GPT-4, Claude 3.7 e Gemini: i risultati
Il cuore dello studio sono gli esperimenti condotti su modelli come GPT-4, Claude 3.7 e Gemini. Apple ha sottoposto questi sistemi a una serie di test di ragionamento, dal semplice al complesso, scoprendo che la loro “intelligenza” si scontra con limiti strutturali evidenti. Nei compiti semplici, i LLM tradizionali superano addirittura i più sofisticati LRM. Quando la complessità aumenta, però, entrambi i modelli mostrano difficoltà crescenti: risposte incoerenti, processi di ragionamento che si perdono e, spesso, un vero e proprio crollo nella capacità di risolvere problemi.
Quello che emerge è che, anche aumentando la potenza computazionale – il cosiddetto “scaling limit” – il livello di AI Reasoning non migliora. Anzi, in certi casi peggiora. Questo dato, sottolineato dagli stessi ricercatori Apple, mette in crisi la convinzione diffusa che “più calcolo” significhi “più intelligenza”. Il problema, secondo Apple, non è solo tecnico ma concettuale: i Model Limitations sono profondi e non si risolvono semplicemente aggiungendo risorse.
Imitazione vs. Ragionamento: la vera sfida dei Large Language Model
Il whitepaper di Apple mette in luce una differenza fondamentale tra imitazione e ragionamento autentico nei Large Language Model. Gli LLM sono straordinari nell’identificare pattern e generare risposte plausibili, ma quando si tratta di affrontare problemi che richiedono logica e coerenza, la loro performance crolla. Gli esperimenti su puzzle come la “Torre di Hanoi” dimostrano che, di fronte a compiti complessi, le AI tendono a “overthinkare”, perdendosi in ragionamenti inutili e abbandonando il problema prima di arrivare a una soluzione.
Questa autocritica pubblica da parte di Apple Intelligence, in un settore spesso dominato da promesse e hype, rappresenta una svolta. Non solo perché mette in discussione la narrazione dominante sull’AI, ma anche perché apre la strada a una riflessione più matura sui limiti reali della tecnologia. In un panorama dove la corsa all’Artificial Intelligence sembra non avere fine, Apple invita tutti a fermarsi e guardare in faccia la realtà: la vera AGI è ancora lontana, e i modelli attuali sono, in fondo, solo abili imitatori.
Il Paradosso del Pensiero Complesso: Dove anche le AI più Potenti Vacillano
Negli ultimi giorni, il mondo della tecnologia è stato scosso da una pubblicazione che, a mio parere, segna un punto di svolta nel dibattito sull’AI Reasoning. Apple, con il suo whitepaper “The Illusion of Thinking”, ha messo in discussione la reale capacità delle Large Language Model (LLM) e dei Large Reasoning Model (LRM) di affrontare problemi complessi. Il documento, firmato anche da Samy Bengio, non si limita a una semplice Benchmark Evaluation, ma entra nel merito della Problem Complexity e dei Model Limitations che caratterizzano i sistemi attuali.
Uno degli esempi più concreti che emerge dallo studio riguarda la celebre Torre di Hanoi. Qui, i modelli AI, anche i più avanzati come GPT-4, Claude 3.7 e Gemini, falliscono clamorosamente quando la complessità del puzzle cresce. Non si tratta solo di errori occasionali: spesso assistiamo a fenomeni di overthinking, dove la macchina si perde in ragionamenti inutili, spreca risorse e, alla fine, abbandona il problema senza trovare una soluzione coerente. È un dato che colpisce, soprattutto se pensiamo a quanto si sia parlato negli ultimi anni di “intelligenza” artificiale capace di ragionare come un essere umano.
Apple ha condotto test su tre livelli di complessità: semplice, medio e complesso. I risultati sono sorprendenti. Nei compiti semplici, le Large Language Model tradizionali superano addirittura i più sofisticati Large Reasoning Model. Questo dato, a prima vista controintuitivo, mostra come la semplicità favorisca la precisione delle risposte, probabilmente perché i modelli standard sono ottimizzati per pattern riconoscibili e risposte rapide. Nei compiti di media difficoltà, i LRM guadagnano un leggero vantaggio, grazie alla loro architettura pensata per estendere il ragionamento. Ma è nei compiti complessi che arriva il vero crollo: sia LLM che LRM falliscono, incapaci di mantenere coerenza e logica nel percorso verso la soluzione.
Questa evidenza porta alla luce un concetto chiave, quello di scaling limit. Apple dimostra che, anche aumentando il budget di token – cioè offrendo più risorse computazionali ai modelli – il ragionamento non migliora. Anzi, in molti casi, le performance peggiorano. Come ha dichiarato Samy Bengio:
“Anche aumentando la potenza di calcolo, il ragionamento non migliora.”
Questo limite non è solo tecnico, ma profondamente concettuale. Non basta aggiungere potenza di calcolo o dati per superare certe barriere: il problema è strutturale. Le AI Reasoning attuali, per quanto sofisticate, non riescono a replicare il ragionamento umano, soprattutto quando la Problem Complexity supera una certa soglia. La loro “intelligenza” si ferma spesso a una ripetizione di pattern plausibili, senza un vero processo logico sottostante.
Un altro aspetto interessante emerso dal whitepaper riguarda la metodologia di Benchmark Evaluation. Fino ad oggi, il settore ha valutato le AI quasi esclusivamente sulla base della correttezza della risposta finale, ignorando la qualità del processo di ragionamento. Apple sottolinea che il vero valore di un modello intelligente sta nella coerenza e nella logica del percorso seguito, non solo nel risultato. Questo approccio mette in crisi molti dei benchmark attuali, spesso focalizzati su problemi matematici o di programmazione, e suggerisce che sia necessario ripensare i criteri di valutazione.
In sintesi, la ricerca mostra che anche le Large Language Model più avanzate cadono di fronte a problemi logici complessi, vanificando l’idea che la pura potenza basti a espandere il ragionamento AI. Il caso della Torre di Hanoi è emblematico: oltre una certa soglia di difficoltà, le AI perdono il filo, dimostrando che la strada verso una vera Artificial General Intelligence è ancora lunga e piena di ostacoli concettuali.

Valutare l’Intelligenza (o l’Assenza di Essa): Dai Benchmark ai Metodi Alternativi
Negli ultimi giorni, il mondo dell’Artificial Intelligence è stato scosso da una pubblicazione che, a mio avviso, segna un punto di svolta nel modo in cui valutiamo davvero la “mente” delle macchine. Apple, con il suo whitepaper “The Illusion of Thinking”, ha messo in discussione non solo le capacità dei modelli di ragionamento attuali, ma anche i metodi con cui l’intera AI Industry misura e certifica l’intelligenza delle sue creature digitali.
Il documento, firmato da Samy Bengio e dal team di ricerca AI di Apple, parte da una critica netta: giudicare l’intelligenza artificiale solo sulla base della risposta finale è riduttivo e, spesso, fuorviante. Oggi, i benchmark più usati – coding, matematica, quiz logici – si concentrano esclusivamente sul risultato, ignorando il processo che porta a quella risposta. Ma è proprio qui che, secondo Apple, si nasconde la vera differenza tra intelligenza e semplice performance.
“La vera intelligenza non sta solo nei risultati, ma nei percorsi logici che ci portano a essi” – Samy Bengio
Questa frase, che abbiamo trovato nel whitepaper, riassume perfettamente il cuore del problema. I modelli come GPT-4, Claude o Gemini sono bravissimi a restituire risposte plausibili, ma quando il livello di complessità cresce, il loro ragionamento si fa confuso, incoerente, a volte addirittura casuale. Gli esperimenti di Apple mostrano che, nei compiti semplici, anche i modelli meno sofisticati possono superare quelli più avanzati; nei compiti di media difficoltà, i Large Reasoning Model (LRM) hanno un piccolo vantaggio, ma appena si alza l’asticella, tutti crollano.
Il problema, però, non è solo tecnico. Apple sottolinea come la Benchmark Evaluation attuale rischi di premiare la superficialità, perché ignora la qualità del ragionamento. In altre parole, se un modello arriva alla risposta giusta “per caso” o grazie a pattern già visti, viene comunque promosso. Ma è davvero questa l’intelligenza che vogliamo?
Qui entra in gioco un altro tema caldo: la Data Contamination. I benchmark, spesso, sono “drogati” da dati che i modelli hanno già incontrato durante l’addestramento. Questo porta a risultati ottimistici e poco affidabili, perché le AI non stanno realmente ragionando, ma semplicemente riconoscendo e ripetendo. Il whitepaper di Apple lo dice chiaramente: serve un cambio di paradigma, perché il rischio è quello di illudersi sulla reale portata dell’AI.
La proposta di Apple è radicale: non basta più valutare la risposta finale. Bisogna premiare la coerenza, la logica, la capacità di seguire un percorso ragionato, anche quando la soluzione non viene raggiunta. In sostanza, occorre distinguere la vera intelligenza dalla semplice performance. Il settore, secondo Apple, è chiamato a reinventare i criteri di valutazione, abbandonando la dipendenza dai benchmark classici e puntando su test che misurino il ragionamento, non solo il risultato.
Nel frattempo, il contesto tecnologico si fa sempre più complesso. Le emissioni indirette dei data center delle Big Tech sono cresciute del 150% in tre anni, segno che la corsa all’AI ha un costo ambientale crescente. E mentre Apple lancia la sua suite “Apple Intelligence”, la concorrenza spinge su nuove funzioni AI, tra cui Google con la discussa AI Overview. Ma la domanda di fondo resta: come possiamo essere sicuri che ciò che chiamiamo “intelligenza artificiale” sia davvero intelligente?
Il whitepaper pubblicato nel 2024, a mio avviso, segna un momento di autocritica e di riflessione per tutto il settore. Apple invita a guardare oltre la superficie, a non farsi abbagliare dai risultati, ma a interrogarsi sulla qualità del ragionamento. E forse, proprio da qui, può partire una nuova stagione di innovazione e trasparenza nella valutazione dell’AI.
Strategia o Cautela? Apple tra Slow Tech, Autocritica e Nuova Suite AI
Negli ultimi mesi, il dibattito sull’intelligenza artificiale ha subito una svolta inaspettata, e Apple si è ritrovata al centro della scena. Da una parte, la pressione dei competitor come Google e Samsung, già lanciati nell’adozione di AI di massa; dall’altra, la scelta di Apple di procedere con cautela, puntando su una strategia che privilegia la privacy, la trasparenza e il test diretto su Apple Devices. È un approccio che molti definiscono “slow tech”, e che oggi si riflette nella presentazione della nuova Apple Intelligence, una AI Suite che promette innovazione ma che, almeno secondo i primi riscontri, appare ancora in fase acerba.
Abbiamo seguito con attenzione il lancio di Apple Intelligence, previsto per il rilascio pubblico entro l’autunno 2024. La suite debutterà su una gamma ampia di dispositivi: iPhone, iPad, Mac, Apple Watch e il nuovo Apple Vision Pro. Le funzioni annunciate – dal Live Translation all’Image Playground, passando per Genmoji e strumenti di visual intelligence – segnano un passo avanti per l’ecosistema Apple. Tuttavia, la sensazione diffusa tra gli addetti ai lavori è che la proposta sia ancora distante dalle soluzioni avanzate già viste sui prodotti Google e Samsung.
Questa prudenza, però, non è casuale. Apple ha scelto di differenziare la propria offerta puntando su On-Device AI e Privacy Protection. Come sottolineato da Tim Cook stesso:
“In Apple abbiamo scelto la strada della cautela, convinti che la privacy sia un diritto fondamentale.”
Non si tratta solo di slogan: la nuova suite AI lavora principalmente in locale, riducendo la dipendenza dai data center e offrendo agli utenti un controllo più diretto sulle proprie informazioni. Una scelta che risponde sia alle crescenti preoccupazioni per la sicurezza dei dati, sia alla necessità di distinguersi in un mercato dove la privacy-by-design è diventata un vero elemento di differenziazione. In più, la crescita delle emissioni dei data center (+150% negli ultimi tre anni) aggiunge un ulteriore livello di attenzione verso l’impatto ambientale delle tecnologie AI.
Ma dietro questa strategia si nasconde anche una riflessione più profonda. La pubblicazione del whitepaper “The Illusion of Thinking” ha scosso il settore, mettendo in discussione la reale capacità delle AI attuali di ragionare come esseri umani. Apple, attraverso la voce dei suoi ricercatori, ha evidenziato i limiti strutturali dei Large Language Model e dei Large Reasoning Model. Secondo lo studio, questi sistemi non “pensano” davvero: imitano, riconoscono pattern, ma crollano di fronte a problemi complessi. Il whitepaper, firmato anche da Samy Bengio, direttore della ricerca AI di Apple, sembra una vera autocritica, ma potrebbe anche essere letto come una manovra difensiva. In un momento in cui la concorrenza corre, Apple giustifica così la sua lentezza, suggerendo che la corsa all’AI di massa rischia di essere una rincorsa verso un’illusione.
Il messaggio è chiaro: meglio essere prudenti, piuttosto che promettere una AI Suite che non può mantenere le aspettative. Ecco perché la Apple Intelligence si presenta come una piattaforma solida, testata direttamente su Apple Devices, con un’attenzione maniacale alla privacy e alla trasparenza del processo di sviluppo. Una scelta che, almeno per ora, sembra pagare in termini di credibilità, soprattutto dopo la pubblicazione di uno studio che mette in dubbio la reale portata delle AI concorrenti.
Resta da vedere se questa strategia di slow tech e autocritica scientifica riuscirà a conquistare gli utenti, o se la diffidenza verso una AI Suite ancora in fase di rodaggio prevarrà sulle promesse di innovazione e sicurezza. Nel frattempo, Apple continua a giocare la carta della prudenza, in bilico tra ambizione tecnologica e attenzione etica, mentre il settore si interroga sui veri limiti dell’intelligenza artificiale.
AI, Tech e le Domande che Nessuno Vuole Porre: Sfide Future tra Trend, Derive e Svolte Etiche
Negli ultimi mesi, il panorama della tecnologia sembra muoversi su un terreno sempre più frastagliato. Da una parte, assistiamo a una raffica di novità: Apple Devices come il nuovo iPhone 16 Pro Max con capacità 5G e Dolby Vision 4K, smartwatch come l’AMAZFIT Bip 6, videocamere intelligenti come la Ring Camera Plus, e persino il James Webb Telescope che ci regala scoperte spaziali. Dall’altra, il settore AI Industry è attraversato da tensioni e domande che nessuno sembra voler affrontare davvero. Eppure, sono proprio queste domande a guidare l’innovazione, come amo ricordare con una citazione personale:
"In un mondo in cui la fantascienza precede la tecnologia, spesso sono le domande non fatte a guidare l’innovazione".
La pubblicazione del whitepaper di Apple, “The Illusion of Thinking”, ha scosso il settore. Non solo per la sua analisi spietata dei limiti dei modelli AI Tools attuali, ma anche perché ha costretto tutti – addetti ai lavori e semplici appassionati – a riflettere su cosa significhi davvero parlare di intelligenza artificiale. Le Apple Devices, oggi più che mai, integrano New Capabilities basate su AI, ma la stessa Apple mette in guardia: la vera AGI resta lontana, e la privacy protection deve restare al centro di ogni sviluppo.
Nel frattempo, il contesto si complica. Le cause legali contro Midjourney, i timori per la funzione AI Overview di Google che potrebbe minacciare l’esistenza stessa dei siti di notizie, e la crescita esponenziale delle emissioni indirette dei data center delle Big Tech (+150% in tre anni) sono solo la punta dell’iceberg. La questione della Privacy Protection non è mai stata così urgente: tra regolamenti, cookie, e nuove norme, la sensazione è che la tecnologia corra più veloce della capacità di comprenderne davvero le implicazioni.
Sul fronte hardware, l’innovazione non si ferma. Oltre agli Apple Devices, spuntano offerte e trend come il Motorola Edge 60 Pro, il Redmi Watch 4, la nuova Micron HBM4 per l’AI, e persino investimenti colossali come il centro di distribuzione Amazon MXP6 da 60.000 metri quadri. E poi ci sono le scoperte scientifiche: il James Webb Telescope ha rilevato l’esopianeta 14 Herculis c, mentre il firmware AGESA 1.2.0.3e promette nuove performance per le motherboard AMD AM5. Tutto questo, mentre Disney e Universal si muovono in tribunale contro Midjourney, segnalando che la battaglia per i diritti nell’AI Industry è appena iniziata.
In questo scenario, mi viene spontaneo pensare a una conversazione avuta con il mio futurologo di riferimento. Un anno fa era entusiasta delle promesse dell’AI; oggi, dopo aver letto il whitepaper Apple e seguito le ultime evoluzioni, è diventato più scettico dell’AI stessa. Forse perché, come suggerisce Apple, la vera intelligenza non si misura solo dal risultato, ma dalla coerenza e dalla logica del percorso. E qui, la tecnologia mostra ancora limiti evidenti.
E se potessimo davvero parlare con una AGI? Forse ci chiederebbe: “Ma siete sicuri di porre le domande giuste?” Una provocazione, certo, ma che riflette bene il clima attuale. L’AI Industry continua a promettere rivoluzioni, ma le domande etiche, di scopo e di privacy restano spesso senza risposta.
In sintesi, il settore tech vive una fase di grande fermento, tra New Capabilities, sfide etiche e una crescente attenzione alla Privacy Protection. Le Apple Devices e gli altri protagonisti del mercato continuano a spingere l’innovazione, ma il vero salto di qualità arriverà solo quando sapremo porre – e affrontare – le domande che nessuno vuole fare. Perché, come ci ricorda la storia della tecnologia, sono proprio quelle domande a cambiare davvero le regole del gioco.
TL;DR: Apple lancia un j’accuse contro l’AI moderna: i suoi limiti di ragionamento rimettono in discussione l’intero settore, svelando che la tanto attesa AGI rimane un miraggio lontano. Il dibattito sull’AI non è mai stato così vivo e necessario.